Riti, preghiere, formule, gesti, simboli. Il legame tra Giochi Olimpici e religione è da sempre molto forte. Le Olimpiadi nascono in Grecia (776 a.C.) in onore di Zeus, il padre degli dei, e sono da subito scandite da un ritmo sacrale di quattro anni.
Abolite dall’imperatore Teodosio (393 d.C) e fatte successivamente rinascere alla fine dell’800 dal barone francese Pierre de Coubertin, dell’antica religione le Olimpiadi conservano il rituale e non le divinità, racconta il teologo tedesco Moltmann in un saggio del 2016, dove scrive: “così il luogo dei giochi si trasforma in territorio sacro, l’entrata degli atleti diventa una processione, il comitato olimpico un collegio di sacerdoti”.
Sfilate, divinizzazione dei vincitori, ma anche garanzia di pacifica competizione tra popoli e nazioni. Le Olimpiadi diventano religione di pace, tra rito e spettacolo. Dove l’uomo celebra, invoca, sacrifica e premia se stesso come un dio (l’uomo, attenzione).
Una religione fondata sul fair play, ma anche sull’effetto propaganda che distrae e diventa simbolo catartico di identificazione collettiva.
E’ de Coubertin ad inventare lo slogan: “Importante è partecipare, non vincere”, che oggi potrebbe essere ribaltato dalla cultura competitiva moderna io-centrica: l’importante è vincere, laddove la vittoria è visione allargata alla misura della potenza di una nazione e della sua economia nel panorama internazionale.
A fermare la sacralità dei Giochi ci sono state stragi, guerre e la pandemia. Da rito catartico collettivo religioso, le Olimpiadi diventano anche, inevitabilmente, politiche e raccontano l’attualità ed il mondo che cambia.
La guerra odierna nel Donbass e quella a Gaza non potevano non arrivare fino a Parigi. Atleti russi, ucraini, israeliani, iraniani e bielorussi rischiano lo scontro geopolitico, malgrado le decisioni del Cio (far partecipare atleti russi e bielorussi individualmente, sotto bandiera neutrale, purché non abbiano appoggiato l’invasione ucraina e non facciano parte di corpi militari), non confermate verso gli atleti israeliani (come richiesto da alcuni paesi arabi, con il risultato di 20 nazioni che rifiutano di gareggiare con atleti di Tel Aviv).
La sacralità spettacolare dei Giochi racconta non solo di religione e politica, ma anche di società e diritti. Questa sarà, infatti, la prima Olimpiade completamente paritaria. Le donne, a lungo bandite dal mondo dello sport, solo alla fine degli anni Sessanta hanno partecipato al rugby e alla maratona in competizioni ufficiali. Nell’800 de Coubertin vietò loro la partecipazione ai Giochi (insieme ai lavoratori), in seguito vennero confinate alla ginnastica e a sport per così dire “educati”.
Una storia travagliata, che non ha però impedito ad alcune coraggiose pioniere di infrangere regole ingiuste all’inizio del XX secolo: personaggi come la duchessa di Uzès o Alice Milliat dalla fine della Prima guerra mondiale.
La loro storia è raccontata da immagini e documenti ufficiali in una mostra gratuita presso la Bibliothèque Nationale de France (BNF) di Parigi fino al 13 Ottobre (Quai François Mauriac – 75013 Paris 13).