Un progetto di valore ha bisogno di una grande squadra alle sue spalle.
Pochi giorni fa mi viene detto da una persona che stimo molto: “Ti voglio fotografare”.
Io, con occhiaie e un discreto pallore, rispondo: “Sono un mostro”.
Lei replica: “Si tratta di foto scattate da un professionista per un progetto, una mostra fotografica sulle Marianne d’Italia, donne che si sono messe in luce con il loro operato per il bene del Paese”.
Io, perplessa.
“C’è anche Liliana Segre”.
Beh, di fronte a tanto non solo non si può rifiutare, ma ci si sente anche così lusingate e felici che due giorni dopo ci si alza di buona lena e si va a Villa Medici, a Roma, fradicie per la pioggia.
Davanti ad un panorama spettacolare, Bianca volteggia come una libellula tra pennelli e colori. Un’altra ragazza su una sedia a rotelle è in posa. Ha dei capelli viola bellissimi.
Andrea ci gira intorno e fa gli onori di casa insieme ad Ilaria. Finché arriva lui, il maestro, Riccardo Bagnoli, fotografo di fama. Un professionista, come tutto il suo team.
Indosso una tunica nera, rigorosamente senza gioielli, per far risaltare l’umanità, la personalità. Interiorità contro apparenza. Mi siedo su uno sgabello con una quinta completamente nera. Sono lievemente a disagio, ma il senso dell’ironia mi viene subito in soccorso.
Riccardo fa i primi scatti. Ogni tanto aggrotta il sopracciglio sinistro, si blocca e mi guarda severo.
Io penso: “Ecco, sono una frana. Devo fare delle facce tremende”. Inizio a ridere come a scuola, un po’ per spezzare la tensione, un po’ perché il senso del ridicolo è una risorsa.
La squadra, dopo i primi scatti, si gira verso il monitor per osservare le foto: “Ma hai visto?!?”. Eccola là, mi estrometteranno dal progetto.
“Bellissima!!!!!! Sono una più bella dell’altra. Sono tutte stupende”.
Io inizio a ridere come colta da un raptus di follia. Riccardo scatta. Gli altri continuano ad elogiare foto ed espressioni.
“Avremo difficoltà a scegliere. Sono tutte belle”.
Si crea una specie di magia nella stanza, qualcosa che ti cattura dentro e fa uscire fuori una luce dentro di te. Credo si chiami arte, professionalità.
Il mio primo, e probabilmente ultimo, shooting è stato così: sorprendente e per niente banale.
Dopo le foto e tanti, troppi complimenti (tutti insieme non ci sono abituata: “che pelle che hai”, “dimostri 28 anni”) abbiamo parlato per una buona mezz’ora di Africa, di volontariato, di bambini, di amore. Tutti insieme, come fossimo amici da sempre. Abbiamo condiviso emozioni ed esperienze, desiderosi di conoscerci ed andare un pochino oltre. Il cinismo dichiarato da Riccardo è una corazza che riveste un cuore buono. Andrea mi ha accompagnato alla porta raccontandomi la sua esperienza tra gli ultimi. Roma ci ha dato il meglio di se’, abbracciandoci con la sua storia.
La magia dell’arte.
(Grazie ad Andrea per queste foto rubate con lo smartphone. Quelle vere arriveranno dopo la presentazione del progetto!)