Le sue dita toccano il marmo mentre usa lo scalpello. Tutto ciò che fa Felice è inusuale. Invece dei canonici cinque sensi, Felice ne ha ufficialmente uno in meno, la vista. E’ uno scultore non vedente, che segretamente in realtà ha parecchi sensi in più degli altri. Guardare per Felice è toccare. E dove non arriva la memoria (poiché la cecità lo ha colpito all’età di 14 anni), crea delle forme che conosce toccando altre opere.
“Tocco il mondo. Le persone lo vedono attraverso gli occhi. Io attraverso il tatto, l’olfatto. E’ un modo di vedere anche quello”, dice il Maestro. E’ così che ti conduce nel suo mondo, semplicemente prendendoti per mano e guidandoti alla scoperta delle forme. Un iper realismo, quello delle sue opere, che permette di capire ciò che possiamo in genere solo vedere. E, quindi, di fare esperienza dell’arte con tutti i sensi.
Felice Tagliaferri è un artista dall’età di 25 anni, dopo l’incontro con lo scultore bolognese Nicola Zamboni, che lo fa innamorare dell’arte. La sua opera più conosciuta, il Cristo rivelato, nasce come sfida alla ‘cecità’, quella vera, della società. Era a Napoli quando gli viene impedito di toccare il Cristo velato di Sanmartino, custodito nella Cappella di Sansevero. Felice non è tipo da perdersi d’animo, tutt’altro, e se lo fa raccontare. Centimetro per centimetro. Così, compra quattro tonnellate di marmo di Carrara e realizza il suo Cristo. Rivelato, stavolta: “Lo hanno già toccato duecentomila persona, lo ha benedetto pure il Papa. Non si è rovinato!”.
Tobia è il suo amico fedele. Tobia è i suoi occhi. Ma non è l’unico a condividere il suo cuore. Non solo perché Felice è capace di metterlo in tutto ciò che fa e di trasmetterlo a tutti, ma anche perché c’è Alberto, suo figlio, insieme alla moglie, che lo segue nel lavoro. Queste due figure sono ricorrenti nelle sue opere: madre e figlio abbracciati, l’uno di fronte all’altra, che si guardano negli occhi e si proteggono a vicenda. Ti invita a toccarli (“ma non troppo, che sono geloso di mia moglie!”) e a percepire l’incurvatura sulla piccola testa, la piega del gomito. L’aspetto tattile della scultura, che dà forma ai sentimenti. Felice insegna a tutti la sua arte, vedenti e non, ma si batte affinché tutti possano viverla. Nel suo laboratorio ci sono le sculture ‘che nessuno ha mai toccato’: le fiamme, l’onda del mare, la donna che si specchia, l’ombra… una serie, che si affianca alle altre opere, nata per dare la possibilità ai non vedenti di conoscere cose che non possono toccare. Immagini, ricordi e fantasie che si fanno tridimensionali.
Creta, marmo, legno. Felice lavora con diversi materiali. E’ andato fino in India per insegnare la sua arte, a Shillong, una zona poverissima al confine con il Bangladesh. Ha portato il suo laboratorio di scultura in una scuola speciale, diretta da un preside illuminato: bambini ciechi, sordo-ciechi e senza disabilità, che imparano insieme, perché non esistono disabilità ma solo diverse abilità. Da questa esperienza è nato un documentario firmato da Silvio Soldini e Giorgio Garini, Un albero indiano, che racconta dello straordinario incontro tra Felice e i bambini. Giorno dopo giorno, i ragazzi hanno imparato a superare i propri limiti e a trovare le loro abilità, il loro modo per valorizzarsi al meglio. Non parlavano la stessa lingua, eppure si capivano. Perché una lingua in comune ce l’abbiamo tutti, ed è quella del cuore. Felice lo sa bene.