Il filo spinato e le telecamere sono gli unici segni che fanno pensare alla detenzione. Tutto il resto ha il colore della riabilitazione: stanze contrassegnate da toni pastello, una grande sala luminosa dove si svolgono diverse attività, dalla pittura allo shiatsu, un biliardino, una stanza per la tv e un giardino di 4000 metri quadrati.
La Casa degli Svizzeri di Bologna, residenza per l’applicazione delle misure di sicurezza, da sei mesi è un modello per le strutture che sostituiscono gli ospedali psichiatrici giudiziari. Sono 14 i pazienti che ospita, persone con seri disturbi psichiatrici, che hanno commesso reati gravi: dalle lesioni all’omicidio.
La loro giornata è cadenzata da varie attività di recupero della persona, oltre che dalle cure mediche: una riabilitazione costante che mira a portare il paziente ad una completa autonomia nella vita quotidiana. Si prepara la tavola per il pranzo, si fanno incontri a tema dove ci si confronta, si possono fare lunghe passeggiate nel giardino interno. Quando arriviamo, due di loro ci aspettano di fuori insieme al personale di sicurezza, che verifica la nostra identità. Mentre tutti gli altri si sono rinchiusi nelle loro stanze, spaventati dalla presenza della telecamera e di persone estranee, questi due pazienti sembrano entusiasti di incontrarci e di raccontare cosa significa per loro la Rems e l’equipe medica che li segue.
Sono lucidi nelle loro riflessioni e consapevoli della propria condizione, del reato che hanno commesso e del percorso che stanno seguendo. Apprezzano soprattutto i momenti di condivisione: quello del mattino, dopo il caffè o quello delle attività ricreative come il pomeriggio cinematografico, nel quale ognuno propone la visione di un film e dopo lo si commenta tutti insieme. Uno di loro fa tuonare di risate i medici che ci circondano, quando gli chiedo quale fosse stato il suo film preferito: “Qui c’è stato un problema – mi risponde il paziente – perché io ho proposto ‘Qualcuno volò sul nido del cuculo’ (film Oscar del 1975 con Jack Nicholson, che denuncia il trattamento inumano a cui sono sottoposti i pazienti degli ospedali psichiatrici giudiziari) e gli altri ragazzi si sono un po’ agitati….”.
Si ride anche qui, il clima è sereno e gli sguardi tra medici e pazienti sono carichi di empatia e di umanità. “La nostra mamma”, chiamano la coordinatrice, che li protegge in abbracci appena li vede un po’ timorosi davanti alla telecamera, ma emana anche un’autorevolezza che genera rispetto in tutti loro: “Questa è la prova che si può dire definitivamente addio a strutture detentive e fare spazio a quelle riabilitative, che pare funzionino”, commenta il Direttore Sanitario.
Eppure, ad oltre sei mesi dalla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, sono ancora 220 le persone internate nelle vecchie strutture. Molte Regioni non hanno ancora allestito le Rems, mentre molte di quelle che già hanno provveduto – denuncia l’Unione Camere Penali – hanno comunicato che non ci sono più posti per accogliere altri pazienti.