Aspettano di fuori, placidi, tramortiti dal caldo. Sono lì da una mezz’ora buona, in attesa dell’apertura della mensa. Aspettano il momento in cui si metteranno in fila, in ordine, esibendo il tesserino. Qualcuno sbraitera’, qualcun altro inveira’ contro la telecamera e il ‘Governo ladro”, qualcun altro ancora sorridera’. Lo sguardo si incrocia, noto quiete negli occhi.
Si chiama Stefano, è un signore di mezza età con due bellissimi occhi azzurri. Mi colpisce, per la solarità che emana.
“Mi sono trovato in una situazione complicata. Non vorrei, ma sto qui. E io ringrazio, perché è’ un servizio che aiuta parecchio. Ti fa mangiare e ti aiuta. Già è tanto mangiare a pranzo e a cena”.
La Mensa Caritas di Colle Oppio, a Roma, non è cambiata molto negli anni. Quando ero adolescente, tramite la scuola, prestavo saltuariamente servizio come volontaria. Il divario tra povertà e benessere, allora, era netto, distinto. Oggi qui, si può incontrare anche il padre separato, che non ce la fa ad arrivare a fine mese. O il libraio fallito.
“E’ talmente tanto tempo che ho dimenticato la data di inizio: 4 – 5 anni. Prima venivo in maniera scettica, poi però la turpe necessità del corpo ha voluto che io continuassi a frequentare questa mensa”.
Ha voglia di parlare, e dopo l’intervista mi fermo ad ascoltarlo. E’ un intellettuale, con una tipica indifferenza verso la tv e una predilezione per la lettura. Aveva una libreria a Trastevere, nel cuore di Roma. E la domenica vendeva i libri a Porta Portese. Si esprime con proprietà di linguaggio, in modo un po’ arcaico, ma con un marcato accento romanesco. Ed è molto simpatico.
“Alla fine mi sono trovato abbastanza bene, perché c’è un ambiente tra eguali, è confortevole e insomma… si tira a campare. I giorni festivi in questi luoghi regna una tristezza allucinante, perchè evidentemente tutti si rendono conto di non poter essere come gli altri”.
Ci sono le volontarie sedicenni in canottiera e pantaloncini. Solari, allegre. Riflettiamo sul senso della loro esperienza. Come sempre, gli adolescenti sanno stupire. In modo semplice, ma profondo.
“Mi aiuta a crescere – racconta una di loro – abituati come siamo, la generazione nuova, tutti abituati ad avere tutto quanto.. venendo qua, aiutiamo le persone. Sappiamo che c’è gente che non ha tutto quanto, che dobbiamo essere meno viziati. C”e’ gente che, se anche non ha niente, comunque ti sorride e ti dice buongiorno”
Il Ferragosto di chi non ha niente e nessuno. Non un familiare, non un letto. Non qualcuno che chieda loro ‘come stai?’.
Un Ferragosto come un altro, che potrebbe capitare a chiunque.
La mensa é uguale a come era nei ’90, quando eravamo noi i volontari sedicenni! Credo non conosca crisi, visto l’impoverimento generale e la più netta demarcazione della povertà negli ultimi anni. All’epoca era l’assalto dall’est europeo. H
o il ricordo di facce disorientate, del lavoro (pesantuccio!) e la speranza di aver aiutato gente che ormai dovrebbe essere cosí inserita da avere figli ventenni che parlano con inflessione locale, come i teen agers cinesi che incontro nella metropolitana milanese.
Si, Andrea. Condivido il tuo commento e le tue speranze. oggi l’emergenza poverta’ ci riguarda tutti e non possiamo far finta che non esista.